Daliland

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La morte… non c’è altro che mi terrorizzi di più; ed è questa la base della mia ispirazione…
La pittura scompare per tramutarsi in realtà.
(Salvador Dali – Ben Kingsley)

Quanto è difficile vestire i panni del genio? Quanto è difficile comprendere che anch’essi sono umani, nonostante il nostro e il loro rifiuto di accettarlo? Come si può accettarlo, d`altronde, quando si comprende l`importanza della perdita del loro apporto alla storia, all`arte e al senso di meraviglia suscitato a chi la fruisce? Devono essere state queste alcune delle domande che la regista Mary Harron si è posta durante la concezione di questa pellicola, dove il tema portante è il contrasto tra l`immortalità dell`arte e la mortalità dell’uomo, che si manifesta in maniera via via più emergente nei sentimenti e nelle sfaccettature degli stati d’animo di Dalì e di sua moglie durante il tempo che ci viene concesso di immergerci nello loro vite e turbamenti.

La pellicola, infatti, si presenta come un grande affresco su una fase avanzata della vita della famiglia Dalì, una vecchiaia che entrambi rifuggono con accorgimenti estetici e circondandosi di giovani durante le frequenti e sfarzose feste organizzate nella loro suite. Il viaggio dello spettatore dentro questo mondo, questa Daliland, è realizzato per mezzo di un protagonista giovane e di belle speranze, James, che attraverso i suoi occhi ci permette di scoprire e farci travolgere dal lusso e dall`incanto in cui le loro vite sembrano annegare. Ma la magia dell`apparenza ha vita breve e il crescendo dell`intimità di James con Dalì porterà ad una lenta scoperta dei suoi timori e debolezze, del suo amore per l`arte del passato, del rapporto con sua moglie e, infine, del rapporto con sé stesso.

A supporto di questo compito sono presenti dei flashback su alcuni momenti cardine della sua vita, che Dalì stesso rende diegetici mostrandoli al protagonista con una sorta di alienazione surreale che dà grande forza a queste scene e che grazie al grande equilibrio riesce a non rompere la sospensione dell’incredulità, risultando come un potere magico in mano ad un uomo che non si è mai limitato a essere soltanto tale. Tuttavia, è la grande interpretazione e trasmutazione di Ben Kingsley nel dare allo stesso tempo un senso di umanità e divinità alla figura di Dalì l’ingrediente principale della riuscita di questo viaggio interiore in una vita dove sì l’enorme fama si lega al tormento di vederla svanire, ma dove emerge anche l`universale incapacità di accettare l’inevitabile.

Oltre a questo tema, l’ingresso nella tana del Bianconiglio di Dalì espone anche la spada di Damocle relativa alla sua necessità di avere un flusso di cassa costante, fondamentale per perseverare in una vita piena di divertissement che allontanino il suo tormento, ma che al tempo stesso lo rende meno ingegnoso e meno libero di esprimersi con i suoi tempi, portandolo inoltre ad alienare da sé tutta la responsabilità economica, con conseguenze non irrilevanti.

A livello registico predomina l’uso di primissimi piani, allo scopo di concentrare l’attenzione su ogni piccola espressione del volto dei personaggi, così da non perdere nessuna delle sfumature scaturite dalla difficoltà di protrarre la facciata di figura irreprensibile che Dalì vuole mantenere: un uomo che si sporge al di là della sua umanità, al di là del confronto con la contemporaneità e che cerca disperatamente di ergersi alla pari dei grandi artisti del passato.

Regia: Mary Harron

Cast: Ben Kingsley, Barbara Sukowa, Ezra Miller, Christopher Briney, Rupert Graves, Andreja Pejic, Alexander Beyer, Mark McKenna, Zachary Nachbar-Seckel, Avital Lvova, Joella Hinson-King, Paul Humphreys, Irina Leoncio, Alberto Maneiro, Matthew James Ovens, Merce Ribot, Jack Shalloo, Gavin Spokes, Suki Waterhouse

Durata: 104 minuti

Uscita: 25 Maggio 2023

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REVIEW OVERVIEW
Da Vedere
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dalilandFilm intimista, volto a introdurre lo spettatore nei turbamenti di un artista al crepuscolo della sua vita. L’ingresso nella sua stanza d’albergo rappresenta l`immersione nella sua anima, dove ogni elemento della messinscena e ogni sfumatura del suo volto in quel contesto così privato sono pezzi di un mosaico che, una volta composto, ci mostra la sua difficoltà nell’interpretare una figura che non può permettersi altro che essere geniale e che rinnega l’inevitabile declino dovuto al trascorrere del tempo.

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