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FUORI

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Questo cazzo di droga ti lega e ti toglie tutte le cose belle della vita
(Roberta – M. de Angelis)
Con quelle donne a Rebibbia, mi sembrava una libertà pazzesca
(Goliarda Sapienza – Valeria Golino)
Quando stiamo insieme mi sento dentro , anch’io , libera
( Goliarda Sapienza – Valeria Golino)



FUORI, diretto da Mario Martone è un’opera intensa e raffinata che si confronta con un materiale delicato e complesso: l’esperienza carceraria della scrittrice Goliarda Sapienza, raccontata nel suo libro autobiografico “L’università di Rebibbia”. 

Presentato al 78° Festival a Cannes rappresentando l’unica partecipazione Italiana alla manifestazione.
La regia è misurata e rigorosa, il ritmo è lento, contemplativo e costruisce un’atmosfera rarefatta che lascia spazio all’interpretazione. La narrazione frammentata con continui salti temporali tra il carcere e i ricordi di vita, risulta affascinante e rispecchia la natura riflessiva e quasi diaristica della fonte letteraria.

Ambientato nel 1980, il film narra la storia di Goliarda Sapienza, una donna di mezz’età, intellettuale, fuori dagli schemi, con un passato ingombrante e un presente incerto che si trova in carcere non perché è una criminale pericolosa, ma per un gesto impulsivo, quasi simbolico: un furto di gioielli.
Nel carcere ti scontri, ti confidi, ti affezioni. Goliarda conosce Roberta (Matilda de Angelis), una ragazza giovane, politica, istintiva, che ha fatto della rabbia una forma di lotta. E poi c’è Barbara (Elodie), più chiusa, più misteriosa, ma capace di una dolcezza inattesa. Con loro, la prigione smette di essere solo un luogo di punizione e diventa uno spazio di relazioni vere, di parole che contano, di solidarietà.
Tre donne, dentro Rebibbia, dimenticate dalla società, scoprono qualcosa che fuori avevano smarrito: la libertà di essere se stesse.

Guardando FUORI, ti accorgi subito che il carcere non è solo un luogo fisico, è una condizione dell’anima. Le sbarre, i muri, le regole, ci sono, ma ci sono anche quelle prigioni invisibili in cui ci chiudiamo per paura, vergogna, o per non disturbare.
Goliarda (Valeria Golino ) scopre che dentro a Rebibbia è finalmente vista per quello che è, senza maschere , senza pretese ed è proprio lì, dove tutto sembra perduto , che si risveglia qualcosa di potente: la libertà interiore.

Una delle tematiche più forti è la solidarietà femminile. In un ambiente duro, dove ci si aspetta rivalità, nasce invece una “ sorellanza” spontanea. Le donne si ascoltano, si proteggono. Questo legame diventa forza, nonostante il dolore e la rabbia. Anche nel posto più buio, la connessione con l’altro può salvarti.
La scrittura è un altro tema centrale. Goliarda ( V. Golino ) scrive e scrivendo si riappropria della propria voce. Le parole diventano rifugio, arma, memoria. In un mondo che vuole zittirla, la scrittura è il suo modo di ribellarsi.
La questione dell’identità è una tematica profonda e sottile ed è presente poiché tutto il percorso della protagonista ruota intorno al confronto con se stessa. Il film ti costringe a chiederti: chi sei quando sei spogliata di tutto? Quando non sei più moglie , madre , scrittrice o borghese? Sei ancora tu , oppure lo sei di più?
Infine, c’è la riflessione sul fuori e sul dentro. Non solo in senso geografico, ma esistenziale. Cos’è davvero il “ fuori”? E’ il mondo che ci accoglie o quello che ci giudica? E il “ dentro” ? E’ il carcere o quel luogo segreto dove finalmente possiamo respirare?
FUORI ci invita a riconsiderare i confini, a capire che a volte la vera prigione è il mondo in cui viviamo “ liberi”
E’ un film che non urla, ma ti sussurra e ti resta dentro. Non ti da risposte, ma ti lascia con domande vere, è un film che ti prende per mano, ti guarda negli occhi e ti dice : “ stai fermo ed ascolta”.
E’ come stare seduti in silenzio accanto a qualcuno che ha vissuto molto, e che non ti vuole insegnare nulla, ma solo raccontarti chi è diventato.
Valeria Golino, nel ruolo di Goliarda Sapienza, è straordinariamente misurata. Non recita per impressionare ma per essere. La sua forza sta nel silenzio, ti fa sentire tutto senza dire troppo. Ogni gesto, ogni sguardo, ogni pausa racconta anni di dolore, intelligenza ed ironia.
Matilda de Angelis, nel ruolo di Roberta è istintiva, viva , ruvida e fragile nello stesso tempo. E’ magnetica e porta sullo schermo un’inquietudine piena di domande e rabbia. E’ la tensione emotiva del film, la scintilla che accende i contrasti.
Elodie, interpretando Barbara, sorprende con una prova intensa e contenuta. Il suo personaggio è enigmatico ma lei riesce a renderlo umano e complesso anche se con pochi dialoghi ma molta espressività.
La sensualità e la rabbia di una donna che ha imparato a sopravvivere.
Queste tre attrici attraversano ed incarnano il film ed il risultato è profondamente autentico.
Molto di questo impatto emotivo lo si deve anche agli aspetti tecnici, curati in modo sobrio ma profondamente espressivo.
La fotografia firmata da Paolo Carnera, non è mai invadente, ma riesce a raccontare tutto. I corridoi del carcere, stretti, lunghi, inondati da una luce fredda e tagliente, ti danno quasi un senso fisico di prigionia. Non c’è spettacolarizzazione del dolore, ma un’attenzione costante alla verità dei volti, delle mani e dei corpi. Ci sono , poi, quei pochi momenti di luce calda , flashback, sogni, memorie che sembrano spiragli di respiro, come quando apri una finestra per ossigenarti. E’ una fotografia che non ti mostra solo il carcere , ma te lo fa anche sentire.
La colonna sonora, composta da Valerio Vigliar, è sottile, discreta, quasi invisibile e la sua forza sta proprio qui, amplificando le emozioni senza mai sovrastarle. A volte, il silenzio domina, e in quel silenzio senti ogni respiro, ogni sussurro, ogni tensione. Poi arriva una nota, un accordo, un piccolo tema musicale e ti accorgi che stai provando un’emozione senza nemmeno sapere il perché.
Anche il montaggio segue la logica del fluido ma non frenetico. I passaggi tra presente e passato sono gestiti con delicatezza, come se la memoria non fosse mai separata dal momento presente. E’ un film che lascia spazio al pensiero, al tempo che scorre in modo diverso dentro e fuori da quelle mura.
FUORI è un’ opera che si muove con coerenza e coraggio dentro ad un’estetica del silenzio e della verità. Un film d’autore che lavora sulle crepe dell’identità e sulle possibilità del linguaggio visivo. Martone non esprime volutamente forme di spettacolarizzazione proprio per restituire allo spettatore un’esperienza intima, quasi documentaria, dove il tempo non è scandito dall’azione ma dall’ascolto, dallo sguardo e dalla presenza corporea delle protagoniste.

E’ un film che non da risposte, ma apre domande, un film che mette al centro i corpi marginali, le voci dimenticate chiedendo di ascoltarle senza filtro senza cercare consensi ma coscienza e proprio per questo ne consiglio la visione.

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